"Tuttavia, capire cosa succede in cielo sarà più facile che ricostruire cosa è successo qui, su questa porzione di terra che, una volta, aveva una densità di persone e di legami che ne facevano una casa. Questa è una sapienza da raggiungere studiando il dolore, qualcosa che ha a che fare con la dispersione."
La trama qui
Cosa ne penso
Ho deciso di leggere questo libro, come per "La botanica delle bugie", perché fa parte dei sei libri del "Premio biblioteche di Roma 2019" sezione narrativa.
Mi sono avvicinata al romanzo con un po' di diffidenza perché letta la trama non né sono rimasta colpita e perché l'idea di leggere qualcosa che si collega all'astronomia, che occupa un posto di rilievo nel romanzo, mi ha fatto storcere il naso. Poi nel corso della lettura mi sono ricreduta, almeno in parte.
Il libro è il racconto in prima persona di Gabriele, un racconto che da subito non è semplice, non è comodo per chi legge perché Gabriele affronta un tema profondo, complesso e permettetemi il termine ineluttabile: la dispersione.
Il racconto di Gabriele che si sviluppa con dei passaggi repentini, segnati al lettore da un evidente cambio di paragrafo, dal presente al passato, dall'interiorità alla descrizione dei puri fatti, non è altro che una ricostruzione del processo di dispersione che investe ogni cosa in ogni dove e prima davanti a tutto la dispersione del suo legame di fratellanza che sembra dissolversi piano piano senza che lo stesso protagonista se ne renda conto.
La ricostruzione degli accadimenti è inesorabile e necessaria direi per spiegare l'evento finale che rimane tale fino alle ultime pagine ma che è anche il punto di non ritorno da dove ha inizio la storia.
Il racconto inizia dall'origine nel "tempo anteriore", così lo intitola Riba il primo capitolo, con la descrizione della nascita della casa di famiglia, Cascina Odessa costruita dal nonno di Gabriele, dove Gabriele ed il fratello minore Emanuele insieme al padre ed alla madre hanno vissuto la loro infanzia, l'adolescenza fino all'inizio dell'università.
Una casa piena di ricordi e di vita: "Ho abitato Cascina Odessa per più di trent'anni, salvo qualche breve intervallo. Io derivo da questo posto e per ogni cosa fatta dopo sono partito da qui.... Voglio solo dire che la casa è pelle, che la casa è cognizione, che la mia casa è un modo che ho per dire qualcosa di me".
E inizia anche con l'arrivo di una supernova che crea un cielo con due soli, sospendendo il tempo ed il ciclo circadiano.
La casa è la supernova sono presenti, quasi come due protagonisti, nel racconto che fa Gabriele.
La dispersione è il tarlo, la costante nei pensieri di Gabriele: la dispersione della sua famiglia, la dispersione della casa, la dispersione dell'energia che avviene attraverso le cose umane, la dispersione delle relazioni, la dispersione del rapporto di fratellanza con Emanuele così fortemente sentito:
"Mio fratello mi ha pacificato e calmato quando lo vedevo piccolo e armonico, mi ha reso apprensivo quando a distanza lo vedevo interagire con il mondo, mi ha fatto pensare di poter morire per lui, mi ha reso nervoso fino allo stremo, mi ha reso furioso, mi ha reso violento e cattivo. Ogni sentimento una diversa frequenza di battito. Sembra strano che sia accaduto tutto nello stesso cuore"
Ma soprattutto la dispersione di Gabriele:
"All'inizio mi hanno chiamato figlio, poi fratello, poi il Custode; infine l'Eremita o il Matto. E' stato un processo lento e graduale, questo disperdersi verso il non me.."
La dispersione narrata da Raffaele Riba è un fatto concreto, in questo devo fare i complimenti allo scrittore per aver saputo rendere così tangibile, reale un processo intoccabile, inconsistente eppure così presente sotto gli occhi di tutti nei gesti quotidiani.
La narrazione crea spesso un tempo denso, come dice lo stesso Gabriele quando va a ricordare: "un tempo che mi sembra denso da morire" un dolore palpabile. Immergermi nella lettura mi ha fatto cadere ogni volta in questa sensazione densa, mi sono invischiata nella malinconica solitudine di Gabriele, nel suo percorso del dolore.
Ma la dispersione è anche il processo che fa risaltare l'attaccamento e la necessità di resistere attraverso la cura:
"La cura, già, ci ho riflettuto spesso questi ultimi tempi. E sono arrivato a pensare che sia un segreto che infatti non viene tramandato di bocca in bocca. Va di pena in pena. Le persone che curano - animali, piante o una scala - sono le uniche resistenze di cui il mondo dispone contro la dispersione."
Gabriele diventa così il Custode di ogni elemento che riguarda la sua Vita. In primo il Custode della casa, visto che Emanuele se ne andrà per studiare e tornerà sempre meno. Il Custode dei ricordi, dei legami passati in una lotta invincibile e ossessiva contro la dispersione, come Sisifo:
"Ti sei sforzato, hai mantenuto, ti sei opposto all'usura, al tempo, alle condizioni avverse. Hai remato contro, hai manomesso il disordine cercando uno schema umano, quello della pulizia, della geometria e della preservazione. Ma eri destinato a fallire..."
Perché la cura preclude che ci sia qualcuno con cui condividere, qualcuno che né benefici, qualcuno che né prenda parte, altrimenti tutto è vano:
"Ho costruito una scala di pietre e cemento, ho rivoltato il terreno ogni anno, ho fatto crescere un coltivato migliore. Ho preso degli animali al mercato di Fossano. E' stato così perché così doveva essere, perché credevo che anche il posto in cui si vive avesse bisogno di una generazione che ne segue un'altra. E che migliora... Ma ci deve essere qualcuno che lotta con te o che ne benefici. Altrimenti sei il Matto che continua a spazzare delle scale su cui non salirà più nessuno."
Così quando Gabriele si rende conto di essere solo, quando anche il rapporto di fratellanza cede con un ultima decisione di Emanuele, Gabriele si arrende:
"Ora però non è più tempo di lottare contro il disordine" e "Così ho mollato tutto. E ho avuto chiara la mia vita. Dov'era cominciata. La fratellanza. Dove era andata a depositarsi. La custodia. E infine dove sarebbe andata a finire: il cedimento, la resa..."
Devo ammettere che questa lettura mi ha coinvolto, mi ha fatto riflettere e mi ha sospeso in un tempo dedicato alle domande interiori. Questo tempo iniziava ancora prima dell'atto di leggere, nell'istante esatto del prendere in mano il libro e prepararmi all'immersione.
Un libro che non consiglierei a tutti perché porta inevitabilmente il lettore ad amalgamarsi nel dolore, nella tristezza, nella densità delle sensazioni profonde.
La ricostruzione degli accadimenti è inesorabile e necessaria direi per spiegare l'evento finale che rimane tale fino alle ultime pagine ma che è anche il punto di non ritorno da dove ha inizio la storia.
Il racconto inizia dall'origine nel "tempo anteriore", così lo intitola Riba il primo capitolo, con la descrizione della nascita della casa di famiglia, Cascina Odessa costruita dal nonno di Gabriele, dove Gabriele ed il fratello minore Emanuele insieme al padre ed alla madre hanno vissuto la loro infanzia, l'adolescenza fino all'inizio dell'università.
Una casa piena di ricordi e di vita: "Ho abitato Cascina Odessa per più di trent'anni, salvo qualche breve intervallo. Io derivo da questo posto e per ogni cosa fatta dopo sono partito da qui.... Voglio solo dire che la casa è pelle, che la casa è cognizione, che la mia casa è un modo che ho per dire qualcosa di me".
E inizia anche con l'arrivo di una supernova che crea un cielo con due soli, sospendendo il tempo ed il ciclo circadiano.
La casa è la supernova sono presenti, quasi come due protagonisti, nel racconto che fa Gabriele.
La dispersione è il tarlo, la costante nei pensieri di Gabriele: la dispersione della sua famiglia, la dispersione della casa, la dispersione dell'energia che avviene attraverso le cose umane, la dispersione delle relazioni, la dispersione del rapporto di fratellanza con Emanuele così fortemente sentito:
"Mio fratello mi ha pacificato e calmato quando lo vedevo piccolo e armonico, mi ha reso apprensivo quando a distanza lo vedevo interagire con il mondo, mi ha fatto pensare di poter morire per lui, mi ha reso nervoso fino allo stremo, mi ha reso furioso, mi ha reso violento e cattivo. Ogni sentimento una diversa frequenza di battito. Sembra strano che sia accaduto tutto nello stesso cuore"
Ma soprattutto la dispersione di Gabriele:
"All'inizio mi hanno chiamato figlio, poi fratello, poi il Custode; infine l'Eremita o il Matto. E' stato un processo lento e graduale, questo disperdersi verso il non me.."
La dispersione narrata da Raffaele Riba è un fatto concreto, in questo devo fare i complimenti allo scrittore per aver saputo rendere così tangibile, reale un processo intoccabile, inconsistente eppure così presente sotto gli occhi di tutti nei gesti quotidiani.
La narrazione crea spesso un tempo denso, come dice lo stesso Gabriele quando va a ricordare: "un tempo che mi sembra denso da morire" un dolore palpabile. Immergermi nella lettura mi ha fatto cadere ogni volta in questa sensazione densa, mi sono invischiata nella malinconica solitudine di Gabriele, nel suo percorso del dolore.
Ma la dispersione è anche il processo che fa risaltare l'attaccamento e la necessità di resistere attraverso la cura:
"La cura, già, ci ho riflettuto spesso questi ultimi tempi. E sono arrivato a pensare che sia un segreto che infatti non viene tramandato di bocca in bocca. Va di pena in pena. Le persone che curano - animali, piante o una scala - sono le uniche resistenze di cui il mondo dispone contro la dispersione."
"Ti sei sforzato, hai mantenuto, ti sei opposto all'usura, al tempo, alle condizioni avverse. Hai remato contro, hai manomesso il disordine cercando uno schema umano, quello della pulizia, della geometria e della preservazione. Ma eri destinato a fallire..."
Perché la cura preclude che ci sia qualcuno con cui condividere, qualcuno che né benefici, qualcuno che né prenda parte, altrimenti tutto è vano:
"Ho costruito una scala di pietre e cemento, ho rivoltato il terreno ogni anno, ho fatto crescere un coltivato migliore. Ho preso degli animali al mercato di Fossano. E' stato così perché così doveva essere, perché credevo che anche il posto in cui si vive avesse bisogno di una generazione che ne segue un'altra. E che migliora... Ma ci deve essere qualcuno che lotta con te o che ne benefici. Altrimenti sei il Matto che continua a spazzare delle scale su cui non salirà più nessuno."
Così quando Gabriele si rende conto di essere solo, quando anche il rapporto di fratellanza cede con un ultima decisione di Emanuele, Gabriele si arrende:
"Ora però non è più tempo di lottare contro il disordine" e "Così ho mollato tutto. E ho avuto chiara la mia vita. Dov'era cominciata. La fratellanza. Dove era andata a depositarsi. La custodia. E infine dove sarebbe andata a finire: il cedimento, la resa..."
Devo ammettere che questa lettura mi ha coinvolto, mi ha fatto riflettere e mi ha sospeso in un tempo dedicato alle domande interiori. Questo tempo iniziava ancora prima dell'atto di leggere, nell'istante esatto del prendere in mano il libro e prepararmi all'immersione.
Un libro che non consiglierei a tutti perché porta inevitabilmente il lettore ad amalgamarsi nel dolore, nella tristezza, nella densità delle sensazioni profonde.
Un'ultima nota alla veste grafica di Silvana Amato che ho molto apprezzato per la leggerezza e l'eleganza che dona al volume.
Ciao Francesca, dopo una pausa lunga un anno rieccomi.
RispondiEliminaE' un piacere vedere che scrivi sempre sul tuo blog con così tanta passione.
Che bello risentirti attiva nel web.
EliminaSi, ci provo a tenere vivo il blog, come vedi ho lasciato un po' il tombolo e mi sto dedicando alla lettura!
A presto.