domenica 13 ottobre 2019

Recensione: "Fuoco al cielo" Viola di Grado

Un libro potente, forte, visionario, un pugno allo stomaco che fa male ma che ci sveglia portandoci a  cercare gli accadimenti, i motivi, le ragioni nella storia non troppo lontana da noi.

" Lui si pulisce e finisce di preparare la valigia e se ne va, la porta si chiude, lei torna in cucina, prende il coltello da terra, basta un colpo secco, basta poco per togliersi di mezzo, fallo e basta, ma poi sente di nuovo quel suono, un sibilo, come un grido nelle ossa, come qualcosa che ancora chiede ascolto, e decide di restare viva, viva almeno un po', viva come adesso, cervello e battito cardiaco, basta questo per restare al mondo."



La trama 
Tamara e Vladimir vivono a Musljumovo, remoto villaggio al confine con la Siberia, tra caseggiati in rovina e fabbriche abbandonate. Vivono in un’area geografica per decenni assente dalle mappe: quella della “città segreta”, luogo sinistro da cui era vietato uscire e comunicare con l’esterno, responsabile negli anni ’50 e ’60 di ben tre catastrofi nucleari. Vladimir, infermiere di buona famiglia, è arrivato da Mosca, scegliendo di prendersi cura di chi non ha niente, delle persone dimenticate dal mondo. Tamara, insegnante, è invece nata e cresciuta nel villaggio, e abituata a pensare che ogni cosa sia destinata a contaminarsi e guastarsi velocemente. Incontrandosi, i due vengono sorpresi da una passione totalizzante che si appropria di ogni pensiero, e accende un bagliore salvifico persino lì, nel luogo più radioattivo del pianeta, in mezzo ai resti di una natura satura di veleno. Questo sentimento così tenace, che sembra schermarli dalle insidie del reale, li rafforza e li divora al tempo stesso, finché un evento prodigioso arriverà a sconvolgere le loro vite e le loro certezze.
Ispirato a un fatto di cronaca che ha disorientato il mondo, Fuoco al cielo racconta del male ubiquo che appartiene alla Storia ma che si rintana anche all'interno di ogni amore assoluto: perché la “città segreta” non è solo un luogo reale di distruzione e segregazione, ma anche il nodo più intimo e pericoloso di ogni relazione, dove i confini tra il sé e l'altro si confondono e può bastare una parola, un gesto, un grumo di silenzio per far crollare ogni cosa o metterla per sempre in salvo

La scelta del libro
Come quasi tutti gli ultimi libri che ho letto anche questo fa parte dei 6 libri, sezione narrativa, che partecipano al premio delle "Biblioteche di Roma" 2019.



Cosa ne penso
Viola di Grado lo dice subito, nelle prime pagine: "cervello e battito cardiaco, basta questo per restare al mondo" perché il romanzo può essere letto come un inno alla Vita nonostante tutto. Un inno alla Vita anche quando questa viene negata ed uccisa, perché se la tua identità viene violata, se la tua storia viene cancellata, se intorno a te la morte vive a braccetto con gli uomini allora se hai ancora un cervello ed un battito cardiaco sei fortunato, sei vivo. 
Oppure un inno alla morte, una morte decisa deliberatamente, consapevolmente dai pochi che nel mondo decidono le sorti dei molti, senza coscienza, senza memoria storica. 

Protagonisti di questo romanzo sono Tamara, Vladimir ed il loro amore. 
Un amore malato che nasce e cresce nella "città segreta", un luogo di cui non conoscevo l'esistenza prima di questa lettura.  
La città segreta o chiusa di cui ci parla Viola di Grado è  Musljumovo, una delle tante città segrete esistenti in Russia create nel periodo della guerra fredda. In questo territorio, che  è ancora oggi uno dei luoghi più inquinati al mondo, sorgevano ben cinque reattori nucleari all'uranio moderati a grafite, destinati alla produzione di plutonio. 

"La città segreta era recintata, come le fortificazioni medioevali che mettevano al riparo dai nemici. Ma il nemico era lì dentro, in quelle strade, erano cesio e stronzio e plutonio, polveri invisibili che saturavano l'aria, ammorbavano i fiori, si accasavano nei polmoni. Dentro la città segreta c'erano quasi tutti i materiali nucleari della Russia. 
Un tesoro di morte custodito in silenzio"

In quest'area ci furono tre disastri nucleari. Il più violento fu quello del 29 settembre 1959 e da qui, da questa data ed in questi luoghi si svolge il racconto di Fuoco al cielo il cui titolo è per l'appunto la descrizione di ciò che videro i cittadini subito dopo l'esplosione: "il cielo luccicava oltre la finestra chiusa. Verde acido, verde scuro, indaco, verde prato  sbiadito. Un arcobaleno sinistro aveva acceso la notte. Il verde era dappertutto. Aumentava, pulsava, come se il cielo si fosse fatto più vivo e sofferente." 


Tamara è nata e cresciuta nella città segreta, Musljumovoun villaggio di contadini, un luogo dove le persone più povere e quindi deboli venivano portate e pagate, con un sussidio statale, per restare, per non parlare,  per dimenticare la loro identità e diventare numeri. Un luogo in cui si entrava e si usciva solo con un pass ma in cui non era possibile entrare. Un luogo dove uomini, donne, bambini avevano ed hanno un: "DNA marcio, un albero che ha succhiato plutonio"
Vladimir invece è un infermiere benestante che decide di andare a Musljumovoun per aiutare, perché buono. 
"Ed era buono perché non era povero. Quando hai soldi puoi curarti di cose come l'anima o il giardino"
I due si incontrano in una mensa e si innamorano, di un amore forte, potente, esplosivo e malato come malato è il luogo in cui vivono, il cibo che mangiano, l'aria che respirano.  Tutto intorno a loro è contaminato, decadente, usurato, consumato, destinato a morire, il paesaggio naturale, la foresta, il fiume, la natura malata nella sua bellezza che è come un quadro in un museo che non si può toccare. 



Un amore fisico che solo così sembra potersi affermare perché l'unico modo, che Vladimir e Tamara hanno per esistere è viversi attraverso il corpo, usandolo anche in modo violento, consumandolo, violandolo. 
Durante la lettura ho sentito molto forte la fisicità del libro. 
Un libro fisico lo definisco dove attraverso il corpo si afferma la Vita: cuore, polmoni, sesso, come se  nella città segreta fosse possibile esistere solo così. Vietato sentire le emozioni, vietato farsi domande, vietato rispondere alle domande, "rispondere alle domande rendeva quei corpi persone" vietato dare un'identità, vietato amare, sognare, credere nei sogni. E nello stesso tempo attraverso il corpo si vedono i segni del male ubiquo "diabete, paralisi, ossa fragili e cuori invasati. Gambe molli, bolle sulle guance, polmoni grigi guasti".
Tamara e Vladimir sono i simboli della Vita malata vissuta nella "città segreta".

I due protagonisti vivono in questa realtà malata, in un amore vuoto, fino a quando un evento impensabile, incredibile, un dono inatteso entra nelle loro vite.
Un evento che porterà Tamara a credere ancora in quel Dio che ha dimenticato la sua terra, che la porterà a ripetere costantemente come un mantra: "andrà bene, andrà tutto bene; tutto bene" ed in questa ultima parte ho trovato la parte più visionaria della scrittrice


Viola di Grado ha una scrittura asciutta, diretta, immediata che raggiunge il lettore quasi "violentandolo". Ogni cosa è narrata senza abbellimenti, senza fronzoli senza fare sconti. Il lettore viene  inchiodato davanti all'abominio umano e non si può tirare indietro bisogna continuare a leggere ad andare avanti per sapere dove,  quando e se finirà.   
Un libro che ci tira fuori dalla nostra zona comfort, che non permette di chiudere gli occhi per credere che non è accaduto, che costringe il lettore a farsi domande ed a cercare risposte. 




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