sabato 28 settembre 2019

Recensione: "Il meraviglioso viaggio delle piante" S. Mancuso

Eccoci per la rubrica a cadenza mensile "Ci provo con..." ideata da Chiara del blog "La lettrice sulle nuvole" in cui si legge un autore o un'autrice per la prima volta.


Il libro di cui vi parlo questa volta, che definisco un piccolo scrigno, è un saggio di Stefano Mancuso, neurobiologo di fama mondiale. 




La scelta del libro: 
Il libro partecipa, per la sezione saggistica, al premio biblioteche di Roma  e visto che era l'unico, dei 12 in lizza per il premio, disponibile nella mia biblioteca  "Franco Basaglia" l'ho preso in prestito senza tanta convinzione.  
L'impossibilità di scegliere è stata in questo caso la mia fortuna.



Cosa ne penso:
Mancuso utilizza un linguaggio semplice, chiaro fruibile da tutti e questo è stato un elemento che ho molto apprezzato perché se fosse stato un saggio troppo scientifico credo che non sarei arrivata neanche alla metà.
Ho parlato di scrigno perché pagina dopo pagina ci viene offerta una descrizione  dell'intelligenza delle piante che  ha dell'incredibile. 
Mancuso lo dice chiaro senza mezzi termini:
"Ciò che conosciamo delle piante è molto poco e, spesso, questo poco è sbagliato."

Attraverso i 6 capitoli ci vengono offerte le strategie, le tecniche, i mezzi con cui il mondo vegetale sopravvive  ai cambiamenti dell'ambiente, si diffonde colonizzando nuove terre, resiste a situazioni estreme. 
Leggere i modi con cui le piante sanno trovare soluzioni mi ha fatto pensare che noi uomini dovremmo imparare da loro mettendoci in uno stato di paziente osservazione e perché no di ammirazione.



Ci sono piante "Pionere, reduci e combattenti" che riescono a vegetare in quei posti dove l'uomo non può più vivere. Un esempio per tutti: Cernobyl (1986)  è oggi il luogo con la maggiore biodiversità: 
"Questo spazio inaccessibile all'uomo  è oggi uno dei territori e maggiore biodiversità dell'ex Unione Sovietica. Sembra che l'uomo sia molto più nocivo delle radiazioni. L'esclusione dell'attività umana da queste aree ha infatti creato un'enorme riserva naturale involontaria"
Hiroshima, qui  ci son alberi reduci che sono ancora vivi nel luogo in cui è caduta la bomba atomica. 

Ci sono piante "Fuggitive, conquistatrici"  che colonizzano nuovi mondi, nuove terre in  modo inarrestabile attraverso la diffusione dei loro semi per via aerea, via mare, attraverso l'utilizzo degli animali e dello stesso uomo.
Mancuso prende ad esempio due prodotti che sono diventati simbolo dell'Italia in tutto il mondo: il basilico ed il pomodoro, rispettivamente originari delle zone centrali dell'India e del Messico, che arrivarono in Italia in tempi antichi e che oggi sono italiani DOP. 
Le piante sono le vere colonizzatrici perché arrivano nei nuovi territori e si ibridano con le piante locali per poter meglio sopravvivere e quindi diffondersi.
Come dice Mancuso la vera globalizzazione è delle piante che non conoscono dazi, confini, barriere. 

Ci sono piante  "Capitani coraggiosi"  che dedicano ai loro semi delle cure parentali custodendo e conservando i semi all'interno della pianta madre per poterli rilasciare quando ci sono le condizioni favorevoli, come fanno gli animali con la propria prole. Ed i semi a loro vola imparano, nella madre, i cicli di vita (siccità, piogge) per poter poi sopravvivere.

Ci sono piante "Viaggiatrici del tempo"  i cui semi si sono conservati  per secoli nei reperti archeologici o dentro al ghiaccio e che in alcuni casi conservano ancora la vita per poter germinare. 

E ci sono  gli "Alberi solitari" il capitolo che ho trovato più bello, con le storie dei  tre alberi solitari sparsi nel mondo (l'albero di Campbel Island, l'acacia di Téneré, l'albero della vita del Bahrein) che hanno dell'incredibile perché vivono e resistono in posti  inospitali ed inaccessibili, in condizioni impossibili ma continuano a vivere. 
Mancuso ci dice: "Nonostante l'albero solitario rappresenti addirittura un topos letterario, simbolo della persona che, malgrado tutto,  resiste indomita agli strazi dell'avversa fortuna, come tanti altri dei nostri luoghi comuni si basa su presupposti del tutto sbagliati. Se ci si pensa attentamente, infatti, un albero solitario non dovrebbe esistere. E' un controsenso."

Bellissima e tristissima la storia dell'Acacia di Téneré che mi ha colpito. Sopravvissuta al deserto, nel deserto, perché le sue radici raggiungevano una falda nel sottosuolo profonda 33- 36 mt, cadde per l'idiozia dell'uomo: un camion diretto a Bilma vi finì contro, uccidendo l'Acacia, nonostante avesse abbastanza spazio per evitarla.






Consiglio il saggio di Mancuso a tutti, lo consiglio soprattutto per le scuole, sarebbe una lettura perfetta per stimolare la voglia di conoscere.
Lo consiglio perché ci spinge ad una riflessione forzata sul ruolo distruttivo che ha l'uomo e perché  ci aiuta a guardare il mondo vegetale con altri occhi e quindi con un altro rispetto. 
Chiudo con una nota sulla grafica del romanzo visto che tra una pagina e l'altra ci sono degli splendidi acquerelli di Grisha Fischer.





Ed ecco gli altri blog che partecipano alla rubrica andate a curiosare:





giovedì 12 settembre 2019

"La Porta" Magda Szabó

"Emerenc non ha bisogno di una vita qualunque. Emerenc ha bisogno della sua vita. Quella che ormai non c'è più"



La trama


È un rapporto molto conflittuale, fatto di continue rotture e difficili riconciliazioni, a legare la narratrice a Emerenc Szeredàs, la donna che la aiuta nelle faccende domestiche. La padrona di casa, una scrittrice inadatta ad affrontare i problemi della vita quotidiana, fatica a capire il rigido moralismo di Emerenc, ne subisce le spesso indecifrabili decisioni, non sa cosa pensare dell'alone di mistero che ne circonda l'esistenza e soprattutto la casa, con quella porta che nessuno può varcare. In un crescendo di rivelazioni scopre che le scelte spesso bizzarre e crudeli, ma sempre assolutamente coerenti dell'anziana donna, affondano in un destino segnato dagli avvenimenti più drammatici del Novecento.


Cosa ne penso 


Devo subito dire che questa lettura mi ha coinvolto tenendomi attaccata alle pagine. Inizialmente ho fatto fatica perché la scrittrice usa  pochissimi dialoghi, tutto quello che i personaggi si dicono viene spesso riassunto come se non si trattasse di un dialogo bensì di une descrizione. Lasciata la titubanza iniziale, che dura qualche pagina, si entra immediatamente in intimità con il libro e non si potrà fare a meno di leggere e leggere per scoprire la storia e dissipare l'alone di mistero che imbriglia il lettore già con la prima confessione della voce narrante:

"Nella mia fede non esiste la confessione individuale, noi riconosciamo di essere peccatori per bocca del pastore e di meritare il castigo perché abbiamo infranto in ogni modo possibile i comandamenti. E riceviamo il perdono senza che Dio esiga da noi spiegazioni o particolare. Io invece li fornirò"

La confessione non è altro che la ricostruzione del rapporto complesso tra le due protagoniste: la scrittrice ed Emerenc. 
Un rapporto fatto di attacchi e gentilezze, di incomprensioni, di attenzioni ed allontanamenti di amore mai espressamente dichiarato. 
Io stessa ho provato sentimenti ambivalenti per l'una e per l'altra, in modo alternato e mai univoco. 
Mi sono lambiccata il cervello per comprendere il perché di alcuni comportamenti da una parte e dall'altra senza trovare immediatamente risposte. Così mi sono disposta con l'animo in ascolto per cogliere ogni sfumatura che l'autrice ci offre nelle pagine in cui emerge con prepotenza e delicatezza, in un gioco dei contrari, la figura di Emerenc, l'anziana signora, provata dagli eventi, con un segreto da tenere ben nascosto. 

Emerenc arriva nella grande casa, dove si sono da poco trasferiti la scrittrice ed il marito, per occuparsi di tutte le attività domestiche, oltre a svolgere il lavoro di portierato nel quartiere in cui vive. 

La Szabó costruisce con le parole uno splendido ritratto di Emerenc e subito appare chiaro al lettore che questo personaggio è scomodo. Emerenc ci obbliga ad uscire dalla comodità del nostro pensiero per condurci verso un mondo apparentemente incomprensibile ma che si rivelerà  fedele a sé stesso, integro ed incredibilmente semplice:

"Si prese cura di noi per oltre vent'anni, ma i primi cinque stabilì una distanza di sicurezza che non potevano oltrepassare"

"Il mondo di Emerenc ammetteva solo due categorie di uomini, chi maneggia la scopa e chi non lo fa, e da chi non scopa ci si può aspettare di tutto."

"Emerenc era nata Mefistofele, negava tutto."

"Emerenc, con la fronte perennemente coperta, con il viso liscio come la superficie di un lago, non aveva mai chiesto niente a nessuno, bastava sempre a sé stessa, così si era accollata i pesi degli altri senza mai dire quello che pesava a lei." 


In questo quadro un ruolo importante hanno gli animali che offrono al lettore una faccia dell'amore di Emerenc. 
Un cane trovato dalla scrittrice e dal marito in un giorno di neve che Emerenc chiamerà Viola, nonostante sia un maschio. Viola viene salvata dalla scrittrice, vivrà con lei ma sarà in simbiosi con Emerenc che lo educherà a modo suo. Viola è spesso l'oggetto di discussione tra le due e motivo di gelosia da parte della scrittrice, per la devozione incondizionata di Viola ad Emerenc. 
Ed i gatti ben otto che vivono con Emerenc, la loro salvatrice, custodendo il segreto. 

Perché Emerenc ha un segreto: non apre a nessuno la porta della sua casa,  lo farà solo alla scrittrice, per cui proverà un amore forte, viscerale paragonabile a quello tra una madre ed una figlia e questo amore sarà la causa dell'evento drammatico  che le colpirà involontariamente. 
Il modo di amarsi di entrambe è sempre inconciliabile, mai armonico, ognuna con il proprio bagaglio di vita troppo ingombrante per farle avvicinare, che le tiene emotivamente distanti. 

L'apertura della porta sarà la dichiarazione d'amore e di totale fiducia di Emerenc e la dichiarazione d'amore della scrittrice che si fa aprire per salvare l'anziana donna, che decide di varcare quella soglia e di entrare nel mondo di Emerenc ma senza averlo prima compreso pienamente. 

Questo gesto che sembra l'unico momento di incontro tra le due sarà anche il punto di non ritorno, una linea immaginaria che divide in due il libro e ci da la chiara portata della splendida scrittura della Szabó. 



La porta è un simbolo carico di significati che conduce il lettore a diverse riflessioni. 

La porta chiusa è il simbolo del limite che non deve essere oltrepassato per evitare di perdere definitivamente il rispetto per l'altro.
La porta chiusa preserva la vita, la forma di vita che Emerenc ha scelto per sè.
La porta aperta, chiusa è il simbolo delle scelte che ognuno fa, per sè, per l'altro e che inevitabilmente portano ad un cambiamento, anche se la portata del cambiamento non è chiaro finché non si sceglie e sarà per le protagoniste devastante, sarà una sconfitta.
La porta divelta è il simbolo del fallimento di tante azioni fatte in nome di quell'amore che dovrebbe essere protetto, custodito, rispettato con delicatezza e profonda comprensione e non violentato, usurpato, devastato. 
L' assenza della porta è il simbolo del tradimento che viene perpetrato in nome dell'amore.

"Emerenc voleva abbandonare questo mondo dopo che le avevano distrutto l'intelaiatura che reggeva la sua esistenza e la leggenda aleggiante intorno al suo nome."

Scoprire questa autrice mi ha reso più ricca. 
Un libro unico ed imperdibile scritto in modo impeccabile, di cui consiglio caldamente  la lettura.