domenica 6 ottobre 2019

Recensione: "Il fruscio dell'erba selvaggia" di G. Munforte

La recensione di questo libro sarà breve e laconica, come è stata la lettura: vuota. 






La trama

Romanzo dalla struttura inedita, composto da sequenze narrative che si intrecciano e risolvono, alla fine, in un quadro unitario, "Il fruscio dell'erba selvaggia" - il titolo viene da un verso di Evtushenko - tesse i destini di personaggi che, sullo sfondo di una Milano periferica, cupa e malinconica, vivono un'esistenza in cui innocenza e crimine, onore e vergogna, redenzione e autodistruzione si rovesciano continuamente, come guanti di cui è impossibile distinguere il diritto e il rovescio. Nella prima parte, intitolata "Nero uno", il suicidio dell'amato zio - un uomo che, dopo aver abbandonato moglie e figli, viveva ai margini della legge nel quartiere della Bovisa degli anni Sessanta - turba al tal punto il narratore da spingerlo a indagare sulla sua vita. La scoperta di un insospettabile alter-ego dello zio lo segnerà profondamente, portandolo a una scelta decisiva per il suo futuro. La seconda parte, "Nero due", è il fulcro del romanzo. La scena si sposta in un ospedale degli anni Novanta in cui un ragazzo fraternizza con un uomo che genera in lui curiosità e fascinazione. 

Questi gli racconta la sua vita prima di orfano cresciuto dai frati, poi di criminale; di lí a pochi mesi lo trascinerà in una vicenda nella quale il ragazzo, in nome dell'amicizia nata in corsia, metterà a rischio la propria vita. In "Nero tre" il romanzo giunge al suo epilogo, offrendo i tasselli esplicativi dell'intera narrazione. L'originale disposizione narrativa scelta da Munforte alimenta il forte senso di inquietudine che pervade questo romanzo che, al pari di un dipinto di Hopper, intreccia la solitudine umana alla metafisica del paesaggio. Con una scrittura capace di farsi concitata nei momenti di tensione, e lirica e poetica in quelli di introspezione psicologica, "Il fruscio dell'erba selvaggia" mostra una galleria di personaggi indimenticabili - le ambigue figure dello zio e del frate e quella del giovane segnato da un destino inaggirabile di violenza ed emarginazione - in cui la vita si offre nell'assoluta contingenza delle scelte e nell'irrisolvibilità del suo mistero.



La scelta del libro
Anche questo libro è stato scelto tra i sei in lizza per il "Premio biblioteche di Roma" 2019, sezione narrativa, ma questa volta non sono stata fortunata.


Cosa ne penso
Comincio subito col dire che il breve romanzo, 144 pagine, non mi è piaciuto.
Le uniche note positive che mi hanno permesso di completare la lettura sono state: la brevità del romanzo e la scrittura chiara, diretta, sia nei dialoghi che nelle descrizioni. In questo Munforte ha delle potenzialità che non sono bastate per sollevare il romanzo.

Per tutto il resto, a mio avviso, il testo rimane incompiuto e carente. Non mi è piaciuta la storia, non mi è piaciuta la costruzione, non mi ha lasciato nulla, solo la sensazione di aver perso tempo che avrei potuto dedicare ad altro.
Soprattutto la costruzione narrativa, che dovrebbe fare la differenza e l'originalità, non mi ha convinto, anzi genera confusione. Il lettore per rimettere a posto i pezzi ed avere il puzzle  completo deve tornare indietro e avanti e poi di nuovo indietro e nonostante questo io non sono riuscita a tirare i fili della storia per annodarli in una fine compiuta.

Non è un giallo, non è un thriller, non è un poliziesco è uno spaccato, non riuscito, di un'umanità in declino, di un ambiente che contribuisce a questo declino ma che alla fine non trova una sua evoluzione e quindi non affronta neanche i temi decantati nella sinossi.
Un solo tema emerge con forza: il rapporto anzi il non rapporto con la fede, una fede che non ha spazio nello spaccato descritto da Munforte, un Dio che viene ucciso  dalle azioni e dai pensieri dei personaggi.
Chiusa l'ultima pagina ho tirato un sospiro di sollievo per essermi liberata del "Fruscio dell'erba selvaggia".


Allego il link dell'incontro che c'e stato tra l'autore ed i circoli letterari delle biblioteche di Roma, incontro svoltosi presso la biblioteche "Nelson Mandela" giovedì 03 ottobre 2019:


2 commenti:

  1. Grazie per la recensione. Se non è piaciuto a te, direi che io sarei dello stesso avviso.
    In questo momento sto leggendo Estate in Magnagrecia di Giuseppe Cassieri. Vecchio libro del '77 molto carino.
    un abbraccio
    sabrina
    un abbraccio
    sabrina

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  2. Grazie Sabrina per la fiducia.
    I vecchi libri sono sempre apprezzati e se poi hai anche una vecchia edizione è una lettura perfetta.
    Un abbraccio

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