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domenica 19 maggio 2019

Recensione: "Città irreale" Cristina Marconi - Finalista alla LXXIII edizione del Premio Strega

"Tutto per colpa di quella Alina... All'inizio, ovviamente, era stato diffidente, non tanto perché fosse straniera, ma perché c'era in lei qualcosa che non capiva, come se fosse alle prese con un'avventura personale in cui loro erano solo personaggi secondari...
Macca, da scozzese, sapeva meglio dei suoi amici inglesi cosa significasse avere un'identità forte. Poteva abitare ovunque, ma per lui casa era sempre e solo il palazzo nero di famiglia nel centro di Edimburgo. Chissà dove la situava lei, casa sua."




Questa è Alina, la protagonista del sorprendente libro di  Cristina Marconi.
Alina si trasferisce a Londra molto giovane per liberarsi da un paese, l'Italia, che le sta stretto, per ribellarsi alla situazione tutta italiana dove "l'essere giovane, appariva più come una pena da scontare che come una condizione irripetibile da cui trarre tutto il possibile".

E da Londra, dove vive e lavora Alina  inizia la sua ricerca di identità. 
Alina è una donna dei nostri tempi che si interroga su quale sia il suo posto nel mondo, vuole appartenere a qualcosa ed invidia chi sa dove è casa perché lei questa senso di casa non riesce a trovarlo:"seguire alcuni miei vecchi amici o vecchi contatti che mi ero fatta per lavorare a Roma e sentirli raccontare della città con una normalità che invidiavo.... Quello era il loro posto, il teatro unico della loro vita, mentre io avevo rimescolato tutte le mie carte e ora non sapevo più cosa a cosa appartenere, a cosa essere leale. Li invidiavo, ma non sapevo imitarli"
Alina è italiana  ma rifiuta con forza e volontà la sua italianità.
Alina è  londinese ma a Londra  si sente comunque straniera.

Cristina Marconi con questo libro ci offre delle splendide pagine di riflessione. Pagine  cariche di temi  che non possono non portare il lettore a porsi delle domande.

Ci sono stati diversi aspetti che mi hanno fatto innamorare di questo romanzo.
Il primo è la prosa ricca. In più occasioni l'autrice utilizza delle associazioni di immagini lontane dal concetto che vuole esprimere ma  che appena finite di leggere  calzano a pennello. Una per tutte quando descrive la bellezza mozzafiato della compagna di Alastir, il fratello del suo fidanzato Iain: "Avevo visto donne con più fascino, donne più appariscenti, volti più sorprendenti, ma non avevo mai visto nessuno di cui pensassi che anche solo un teschio, se ritrovato tra un milione di anni avrebbe rivelato senza margine di errore una bellezza fuori dal comune"

Il secondo elemento che ho apprezzato è stato l'utilizzo delle due tecniche di narrazione.
La narrazione in prima persona è riservata ai capitoli di Alina, la narrazione in terza persona invece riguarda Iain, il compagno inglese di Alina e gli altri personaggi. 
Non ho letto molti libri in cui sono presenti le due tecniche narrative e devo dire che l'autrice  con questa scelta  ha saputo creare nel lettore una linea immaginaria lasciando ad Alina il posto principale, la narrazione in prima persona permette di calarsi nel personaggio con maggiore facilità lasciando gli altri in secondo piano.

Invece ho fatto un pò di fatica a seguire l'arco temporale del romanzo che va dal 1999 al 2014. I capitoli si susseguono in archi temporali non necessariamente consequenziali, sopratutto all'inizio quando Alina e Iain ancora non si conoscono ed i loro due mondi sono divisi. 
Se da un lato questo fattore mi ha disorientato, dall'altro ha lasciato un mistero sul possibile finale perché andando avanti ed indietro negli anni non sono riuscita ad immaginare una conclusione  ed ho trovato questa condizione  stimolante.


           
La ricerca dell'identità di Alina viaggia nelle pagine attraverso le descrizione che fa della città in cui vive ed il ricordo di Roma.
"Se avevo lasciato Roma era solo per  amore della tentacolare Londra" 


Alina è sicuramente "innamorata" della logica londinese, un amore dettato dalla razionalità e dal rifiuto della decadenza italiana e romana. 
Londra è la città delle possibilità, dove tutto si semplifica, dove il lavoro scorre veloce e ad un licenziamento si sostituisce subito un nuovo impiego. 
Londra è la città delle regole non scritte, dell'individualità e di un ordine sociale totalmente diverse dal resto d'Europa e soprattutto diametralmente opposto all'Italia:  "Londra era diventata il grande specchio dentro cui l'Europa misurava i suoi fallimenti."
A Londra i giovani e non solo, possono pensare e creare il futuro invece di vivere nelle rovine del passato, perché Londra sa rinnovarsi e crescere. 

Ma Alina descrive anche una Londra fatta di case tutte uguali e di uomini e donne tutti uguali. Le persone che incontra tutti i giorni nella metro, l'andare e venire costante e sempre uguale crea "un tipo umano, non una persona singola, ripetuto all'infinito". 
Londra è fatta di chiacchiere allegre al pub dove non si parla male di qualcuno e non si fanno pettegolezzi ma quando e se accade l'importante è farlo con eleganza. In queste chiacchiere con poco colore Alina  vede delle prove di autorevolezza "erano spesso gli uomini a raccontare e le segretarie a ridere più forte, in una dinamica che pensavo estinta da tempo nei paesi del nord"

Alina si trasferisce a Londra per impararne la logica, la vita, le regole per diventare inglese "L'unica possibilità era trasferircisi, approfittarne per un periodo e decidere cosa fare una volta che, nella pulsante città si era imparato a fare come gli inglesi" 
Ma non riesce ad essere come gli inglesi, fluidi, in continuo movimento,  lei vuole lasciare il segno indelebile sulla città e può farlo solo cercando di non mollare mai la presa.  Per questo deve rimanere aggrappata, non sa fare altro perché se molla allora perderà tutto perché l'italianità che è in lei le dice che se mollerà non potrà ricostruire tutto mille volte.
Alina va  a Londra per imparare  il modo in cui gli inglesi sanno rinnovarsi e nello stesso  tempo non riesce a liberarsi dal senso di precarietà ed immobilità  tutto italiano.

E' la Roma della sua infanzia, quella in cui è cresciuta a lasciarle impresso come un tatuaggio  il senso di precarietà.

Roma è la città vista con gli occhi da bambina pieni di incanto ed amore ma è anche la città che ti toglie il futuro, che ti fa piangere per la miseria in cui è caduta. Roma è una trappola che rende le persone infelici  "che strappava loro proprio quella solennità e quell'umanità che mi incantava e nel cui culto era cresciuta." 
Roma tiene fermi i genitori ed il fratello di Alina, soprattutto quest'ultimo come tanti altri giovani,  con mille lavori precari per arrivare a fine mese.  
Roma "non si era saputa rinnovare e quindi non si era saputa conservare, ed era  rimasta così"
"Forse ci volevo tornare da straniera, senza responsabilità, senza dover fare la mia parte"


Alina nella sua scelta ragionata di lasciare Roma sceglie di fuggire  perché "non riuscivo a vederla  cadere, caduta". 
"Roma con i suoi androni umidi, quelle case tutte diverse, almeno per me, tutte piene di mistero, i suoi parchi un pò sporchi ma inarrivabili, la profonda umanità dei suoi abitanti, le battute fulminanti, lo spirito dissacrante, era stato un luogo amatissimo"
Sceglie Londra ma  in questa città non riesce ad amalgamarsi forse perché  non trova  quella che l'amica italiana definisce "la guazza italiana.... il modo assurdo di fare le cose che si ha qua"

E allora dove trovare la propria identità?  Qual'è la città irreale Roma, decaduta non al passo con i tempi, complessa o Londra regolata da una lucida razionalità , semplice, dove tutto è ordinato, incolore fino all'inverosimile?
Le risposte, al lettore attento,  arriveranno nelle ultime pagine attraverso un ricordo, un'immagine, un riflesso che l'autrice sa renderci in modo affatto scontato.


2 commenti:

  1. Bella questa trama Francesca. Io penso che la propria identità sia da ricercare dentro noi stessi. Solo così staremo bene in qualsiasi posto del mondo!
    un abbraccio
    sabrina

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  2. Condivido pienamente.
    Grazie dei tuoi precisi e punta li commenti.
    Un abbraccio

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